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Le botteghe di carbone e i carbonari E-mail
I Quaderni di Ruscio - I Carbonari
Scritto da Isidoro Peroni   

I tre figli carbonari di Emidio Perelli

I tre figli di Emidio Perelli e Orsolina Salamandra, ossia Benedetto (1906), Natale (1907) e Ottavio (1915), si trasferirono a Roma per divenire carbonari.

Benedetto vi arrivò molto giovane, probabilmente intorno al 1920, per lavorare alle dipendenze altrui (forse di un parente rusciaro già trapiantato in Roma).

Sembrerebbe che, intorno alla metà degli anni venti, Benedetto  si mise in società con il fratello Natale, anche lui nel frattempo trasferitosi in Roma. La loro attività di commercio del carbone, anche grazie al contributo finanziario del padre Emidio rimasto in Ruscio,  fu avviata in via Veio (zona San Giovanni).

 

Benedetto e Natale separarono le loro attività commerciali allorché Natale avviò  una sua attività del commercio di carbone e legna in un “grottino” in via Leonardi Cattolica (zona Prati); ciononostante, inizialmente, continuarono ad investire i risparmi insieme. Nei pressi di quel grottino, specificamente in via Palumbo n. 8 all’angolo di Piazza Strozzi, Natale, una volta sposato (1931), prese in affitto un appartamento al terzo piano dove nacque Osvaldo (1933). Dopo il trasferimento all’ultimo piano, con tanto di galline in terrazza, nacque Guerino (1936). Una stanza venne subaffittata ad una famiglia di Viterbo. A bottega lavorava Natale, la moglie Maddalena Giovannetti e, d’inverno, quando il commercio si intensificava,  l’operaio addetto alle consegne.
In casa, nella stanza di nove metri quadrati di Guerino e Osvaldo, dormiva anche l’operaio del negozio. A turno si sono dunque avvicendati in quella piccola stanza: Aquilino Giovannetti, Pietro Taschini (padre di don Isidoro), Zacchia Cicchetti, Urbano Cicchetti (detto “Barbazza”), con una gran puzza di piedi complessiva. Anche Mario Perelli (detto “Picchialova”), prima di avviare con successo la sua impresa commerciale, ha lavorato come operaio nell’attività di Natale.
I grossisti che rifornivano Natale erano Biagio e Mario Peroni oppure Augusto Peroni e fratelli. Verso settembre venivano con un grosso camion di carbone che scaricavano (riempiendo, trasportando e svuotando sacchi) fino a colmare il grottino di mucchi di carbone, oltre che di legna e cock.

Ottavio, che era il fratello più piccolo, fu l’ultimo a trasferirsi in Roma, ove arrivò per lavorare con Benedetto in via Veio, probabilmente all’inizio degli anni ‘30, forse proprio a sostituire l’ormai autonomo Natale. Di quegli anni ‘30 del giovane emigrante Ottavio, che all’epoca viveva con Benedetto e la moglie di quest’ultimo, Santina Angelini, si ricorda il grande appetito e la grande delusione nello scoprire, una volta acquistato il primo uovo di Pasqua della sua vita,  che lo stesso non risultava essere un blocco di cioccolata bensì solo un guscio di cioccolata con un vuoto all’interno. Di Benedetto viene invece ricordata la resistenza in bicicletta: partiva la sera del sabato da Roma per arrivare a Ruscio la domenica mattina, trascorrervi la giornata festiva per poi, a  sera, riprendere a pedalare da Ruscio sino a Roma in modo da arrivare giusto in tempo per aprire bottega il lunedì mattina.  Sempre in bicicletta, negli anni trenta,  venivano trasportati i sacchi di carbone della bottega Perelli di via Veio.

L’attività del grossista Augusto Peroni, al quale Natale e Benedetto erano soliti affidare i risparmi, era intanto andata in crisi. Non potendo restituire i soldi, Augusto offrì  le mura di una bottega in via dei Latini n. 24 (zona S. Lorenzo) che a quel tempo era detenuta in affitto da Natalino Di Domenico e sua moglie Teresa. Nel 1938, allorché Ottavio, all’età di 23 anni, contrasse matrimonio con Martina Salvatori, si separò dal fratello Benedetto per avviare in quella bottega di San Lorenzo una sua individuale attività di commercio del carbone. Le mura di via dei Latini furono però intestate al solo Benedetto (in quanto maggior creditore).

Benedetto, comunque,  continuò ad operare per proprio conto  nella bottega di  via Veio a San Giovanni finché negli anni ‘40, sempre in affitto, trasferì la sua attività in via Saturnia (ancora in zona San Giovanni).

Quando venne la guerra  Natale partì rassicurando i parenti di non preoccuparsi perché, non essendo più giovane (era sopra i trent'anni) l'avrebbero lasciato in qualche caserma. Finì spedito al fronte e fu fatto prigioniero in Africa dagli inglesi; passò alcuni anni in Inghilterra che poi sosterrà, scherzando solo in parte, essere stati i più belli della sua vita.
Ottavio, intanto, fu chiamato a svolgere il servizio militare in Sicilia ma poi riuscì a farsi assegnare alla miniera di Ruscio, specificamente  con  il compito di trascinamento, che aveva il vantaggio di non richiedere di lavorare sotto terra.
In Roma, intanto, le botteghe di Natale e Ottavio erano gestite dalle mogli.
Nella bottega di San Lorenzo in via dei Latini operava Martina Salvatori che fu tra i superstiti del bombardamento. La bottega però andò distrutta dalle bombe e a Martina non restò altro che raggiungere il marito Ottavio in Ruscio.
La bottega di Natale in via Leonardi Cattolica era in mano a sua moglie Maddalena Giovannetti mentre i figli furono parcheggiati in Ruscio:  Osvaldo con la famiglia dei nonni materni  frequentava la quinta elementare in Monteleone e badava alle pecore del nonno Antonio;  Guerino,  con la famiglia dei nonni paterni  e dello zio Ottavio, frequentava la seconda elementare presso l’attuale casa Compagnucci (nei pressi del fossato che taglia in due il paese)  e badava alle vacche nei dintorni di Rescia.
Il vecchio Emidio intanto aspettava sempre una lettera dal postino con notizie del figlio Natale ma morì, nel marzo 1944, prima che Natale tornasse.

Quando Natale, finalmente, tornò dalla guerra, riprese le redini della bottega in Prati e si adoperò affinchè anche il fratello Ottavio potesse tornare ad avere una bottega in Roma e tirarsi fuori dalla miniera (che negli ultimi tempi, diminuendo il lavoro ed il personale, richiedeva ai singoli di fare un po’ tutto, anche scendere sotto). Fu segnalata una bottega a ponte Milvio ma alla fine non se ne fece nulla perché ci si accorse che il movimento era nullo (in una giornata era entrato un solo cliente). Dopo un altro tentativo a vuoto, la bottega venne alla fine, nel 1951, individuata in via Braccio da Montone n. 79 (zona Pigneto).

L’attività di commercio di carbone e legna di Natale, ormai tendente verso elettricità e piccoli casalinghi,  fu trasferita, verso la metà degli anni ’50, in un locale affittato in via Cunfida n. 5, sempre in Prati (tra via Trionfale e via della Giuliana). Un paio d’anni dopo anche l’abitazione venne trasferita in tale via.
Tra lo spostamento dell’attività e quello dell’abitazione si verificò un incidente che mise in ginocchio l’attività di Natale.
L’operaio, guidando l’Apetta di bottega, investì una persona ferendola alla gamba. Al tempo non vigeva l’obbligo di assicurazione per i veicoli ed il Giudice di secondo grado (sovvertendo l’esito del giudizio di primo grado) condannò l’imprenditore Perelli a risarcire i danni. Nell’abitazione di Natale  tutto venne pignorato e venduto all’asta. Solo un patetico comodino venne malinconicamente, in qualche modo, riacquistato dai Perelli in quell’asta. In casa Perelli , per riporre i pochi vestiti c’erano ormai solo armadi fatti con scatoloni di cartone.
Per saldare il debito furono anche firmate in favore dell’investito una montagna di cambiali mensili che, con notevoli sacrifici, vennero tutte saldate.  Passato un mese dai festeggiamenti relativi al pagamento dell’ultima cambiale, fu quindi grande lo stupore nel veder giungere, per il pagamento, un’ulteriore cambiale in favore dell’investito. Fu necessario denunciarlo all’autorità giudiziaria e alla fine fu dimostrato che aveva falsificato la firma su quella cambiale.
Alla fine degli anni 50 l’attività di via Cunfida, all’epoca gestita principalmente da Osvaldo, non decollava. Tornò nelle sole mani di Natale e Maddalena allorché i figli (Guerino prima e Osvaldo poi) furono nei primi anni sessanta assunti dalla Stefer.

Benedetto, nel frattempo, padre di Maria e Mirella, continuava a gestire con la moglie Santina la sua attività in via Saturnia. Il pensionamento si ebbe  nei primi anni sessanta (morì nel 1974).

L’attività commerciale di Ottavio al Pigneto continuò con la moglie Martina senza particolari scosse fino alla pensione nel 1979. Quanto invece alla sua vecchia bottega bombardata di S. Lorenzo (quella proveniente da Augusto Peroni) va ricordato che era stata ricostruita grazie a contributi pubblici  e concessa da Benedetto e Ottavio in locazione a terzi. E’ solo in seguito, negli anni ’70, che i due fratelli sciolsero la comunione relativa a tale immobile, composto di due locali di cui uno venne finalmente intestato ad Ottavio (solo nel 2005, morto Ottavio, è stato venduto dai figli Giuliana e Raffaele).

Alla morte di Natale, nel 1984, la sua attività era ancora in pedi, anche se senza aver mai raggiunto livelli tali da permettergli nulla più di una casa in proprietà ed una tranquilla vecchiaia. Dopo la sua morte, il commercio continuò in un nuovo locale in via Trionfale (ad appena venti metri di distanza dal precedente), gestito in società dalla vedova Maddalena e dal fratello di lei Mario Giovannetti finché non fu rilevato da Sabina Perelli (di Guerino di Natale). Guerino comprò anche le mura di quel  negozio in via Trionfale. Intorno al 1989, ad ogni modo, visto che il giro d’affari non era un granché (per lo più piccolo materiale elettrico e piccoli casalinghi), mura e licenza vennero cedute.

Benedetto, Natale e Ottavio (“li Perelli d’Emidio, lu fijo de Pananò”) non diventarono mai ricchi ma, come accadde a molti di quella generazione, rappresentano il tormentato innesto in Roma di una discendenza che vanta radici secolari in Ruscio.

L’orribile comodino di nonno Natale, a suo tempo pignorato, fa bella mostra nell’ingresso della mia casa romana.


Marco Perelli 

Paolo Peroni, figlio di Marco(“Marcaccio”), nipote di Isidoro aveva negozio in Prati in via Paolo Emilio, i figli Augusto, Alessandro, Marco, Armando e Romano (nato a Roma) seguitano ed ampliano l’attività nel settore dei combustibili e nei casalinghi e vernici. Massimo figlio di Armando (“Er Capone”) vende ancora ottimo carbone vegetale (ora in buste sigillate) in via Oslavia insieme ad altri prodotti in specie attrezzature da campeggio.

 

La famiglia di Paolo Peroni, Carbonari in Roma.
di Renato Peroni

Affidarsi alla memoria per scrivere delle origini della mia famiglia, dei Peroni di Paoluccio, carbonai, può risultare un lavoro lacunoso se non addirittura poco attendibile.
Comunque questo è il compito affidatomi e ci proverò.
Il mio più lontano ricordo è di un negozio di carbone in via Paolo Emilio, al numero civico 17, come punto di ritrovo di quasi tutti i carbonai di Roma.
Venivano a trovare i fratelli Peroni (nell’ordine di età: Augusto, Alessandro, Marco, Armando e Romano) per trattare di partite di carbone o per pagare quelle già ottenute.

Era un via vai che a me, ragazzino di circa sei anni, lontano dalle logiche commerciali, suscitava una enorme curiosità.

Seduto sui gradini delle vetrine di Zingone, all’altro lato della strada, assistevo a quel tradizionale appuntamento domenicale intervallando la mia attenzione ai diversi paesani, che parlavano ora con lo zio Augusto ora con mio padre Alessandro, finendo poi regolarmente al Gran Bar di via Cola di Rienzo, con il gioco delle figurine che facevo insieme a mio cugino Giulio.

Di tanto in tanto lo zio Augusto suonava un campanello e dalla finestra posta sopra il negozio di carbone si affacciavano a turno la zia Letizia o mia madre Carlotta che calavano un cestino per ritirare o consegnare soldi e documenti che venivano conservati nella superiore abitazione; era un artigianale ma sicuro sistema di gestione della cassa.

Ho ancora vivo il ricordo delle riunioni di famiglia in Via Paolo Emilio: zio Marco, sempre allegro, chiuso il negozio a via Luisa Sanfelice, nel quartiere Mazzini, raggiungeva i fratelli che allietava con le sue barzellette ed i suoi scherzi; zio Armando poi, ristabilitosi dal periodo di guerra e dalla lunga prigionia, chiuso il negozio di carbone di Via Oslavia (oggi unico negozio dei fratelli Peroni ancora in attività e gestito dal figlio Massimo) raggiungeva a sua volta gli altri in Via Paolo Emilio; zio Romano, il più piccolo dei fratelli, gestiva invece il negozio di Via Paolo Emilio; mio padre, Alessandro, curava i trasporti dei carbone con gli autotreni (poi aiutato anche dal figlio Giorgio); su tutti aleggiava la mitica figura di zio Augusto, il punto di riferimento di tutta la famiglia, essendo il più grande, che, dopo il padre Paolo, aveva assunto la guida degli affari della famiglia Peroni.

A questi incontri, di volta in volta partecipavano vari paesani: ricordo lo zio Tito Belli (fratellastro di mia madre Carlotta) che veniva in ciclomotore (credo fosse uno dei primi in Italia e mi aveva molto colpito ed  incuriosito vedere una bicicletta con motore) dalla sua bottega di carbone a Via Ripetta ancora in attività e gestita da Giovanni ……..Venivano tanti altri, su tutti ricordo: Di Cesare, Di Domenico, Giannini, Perelli, Dolci, Giovanetti, Vannozzi, Angelici, Giovagnoli tutti carbonai ed operatori del settore. Gli incontri finivano immancabilmente al Gran Bar di via Cola di Rienzo discutendo di calcio (solo mio padre tifava per la Roma, mentre tutti gli altri fratelli tifavano per la Lazio).

Fuori, lungo i marciapiedi di Via Paolo Emilio o delle vie vicine, venivano parcheggiati enormi camion dal muso lungo:dei Fiat 34 (almeno credo fosse questa la sigla) pieni di balle di carbone, ben stipate nei capienti  cassoni e che erano oggetto delle trattative domenicali.

Mi incuriosivano i nomi dati a questi autotreni: Tempesta, Fulmine, Lampo quasi a sottolineare la qualità e la velocità delle loro prestazioni che fanno ora sorridere se paragonate a quelle dei moderni autoarticolati.

Anche gli autisti avevano un loro soprannome: “Bottapallone” un omone grande capace di sollevare con estrema facilità una balla di carbone come si solleva un leggero pacco; “Bianchino” per via dei suoi capelli bianchi che contrastavano con il colore della faccia completamente nera per via della polvere di carbone; il “Francese” per via della sua precedente attività di cameriere in Francia che gli aveva consentito di imparare la lingua senza peraltro saper scrivere. Un particolare ricordo per Isidoro Cicchetti (padre di Costantino) la cui morte mi colpì grandemente (cadde dall’autotreno carico di balle di carbone), e per i fratelli Taschini (Pietro, padre di Don Isidoro, ed Angelo).

Quando ebbe inizio l’attività dei fratelli Peroni non mi è dato di sapere; per certo so che nonno Paolo, “Paoluccio” come veniva bonariamente chiamato, venne per primo a Roma a garzone, credo, dallo zio Isidoro Peroni e poi, sposato con Filomena Angelini di Rescia e con già  numerosi figli (alcuni morirono di spagnola) trasferì la famiglia a Roma in Prati e da lì, insieme ai figli, iniziò la sua attività di carbone che, in assenza del gas, costituiva l’unico combustibile per la cucina e per il riscaldamento. L’attività dei fratelli Peroni, attraverso una serie di negozi in Roma, si espanse consentendo di avviare al lavoro anche molti paesani di Monteleone che, in seguito, ebbero l’opportunità, a loro volta, di mettersi in proprio, contribuendo ad alimentare a Roma la già grande famiglia di carbonai provenienti dall’Umbria.

Carlo Cicchetti, acquista  nel 1962 il negozio in via del Pellegrino (licenza intestata a Elena Paoloni).

Rossi (ville di Leonessa), avevano negozi in via Leonina, via Paolina, via Madonna dei Monti 80.

Giuseppe Di Cesare (“Lu Galle”), apre negozio in via Taranto. I figli Franco, Claudio e Sergio seguitano l’attività, specie nel settore dei combustibili liquidi.

Giovanni Peroni (“Mappa”)

Salamandra Pietro (“Pietrone”) per molti anni gestisce il negozio di via Flavia affittatogli da Isidoro Peroni. Il genero vende ancora carbone ed in specie casalinghi nella vicina via Aureliana 29,
dove potete ancora trovare ottimo carbone in busta.

Maria Vannozzi Sbarrini (Pigneto) , vendeva anche casalinghi ed articoli da regalo

Giuseppe Carassai  (carro a cavallo per il trasporto del coke dal gasometro di S. Paolo.)

Benedetto Giovanetti (“ Lu Ferone”), n. 30 maggio 1910, m. 28 agosto 1977, aveva il negozio in via di Donna Olimpia dal 1931, come testimonia la medaglia d’oro conferitagli dalla Camera di Commercio nel 1967.

Costantino Reali  (“Il Conte” ), n. 18 giugno 1924 a Ruscio, m. 2 giugno 1999 a Roma.

 

Figlio di Erasmo (“Lu Figaro”) e di Rita Palombi, sposò Giovanna figlia di Arcangelo Vannozzi (“Baffone”) ed emigrò a Roma dove lavorò (ed abitò) in una “legnara” al quartiere Prenestino, all’indomani della seconda guerra mondiale. Nella primavera del 1958, si trasferì in Borgo dove era noto come il ”carbonaro”. La sua attività, inizialmente di negozio di carbone e legna, si evolve nel tempo, come per gli altri colleghi compaesani con l’aggiunta di saponi e detersivi, terraglie, colori e vernici, bombole di gas, fino ai casalinghi ed abbandonando il carbone e la legna. Cede infine la licenza e l’attività dopo trenta anni  (Queste notizie, insieme alle foto ed ai documenti con riportata la professione “carbonaio”, la patente di guida con cui conduceva il motocarro per le consegne di carbone e legna , l’iscrizione alla Camera di Commercio datata 1961 e la ricevuta dell’ufficio metrico per la verifica dei pesi e delle bilance in dotazione al negozio, sono state conservate e fornite dalla figlia Valeria Reali.)

Perelli Natale, ritratto in una foto degli anni ’50 durante una cena di carbonari

Gervasoni

Pietro Paolo Vannozzi

Angelini.  I fratelli Simone ed Orlando hanno gestito il negozio in via Gaeta, vicino alla stazione, fino a non molti anni fa. (vedi foto). 


 
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