Da Monteleone a Roma: ascesa e oblio dei Chercherasi |
La Barrozza - Natale 2019 - anno XVIII n. 3 | |
Scritto da Stefano Vannozzi | |
Nei pressi del Trivio, frazione di Monteleone di Spoleto (PG), è la località Cargarasu (1), un micro toponimo moderno di origine prediale che a molti non dice nulla, ma che in realtà tramanda il cognome di un antico e notabile casato scomparso ormai da secoli dalla vita sociale ed economica del paese. Si tratta infatti della schiatta monteleonese dei Chercherasi, Chercherasio, poi anche denominati Carcarassi, Carcarasi e Carcarasio. La ricchezza familiare, derivata dall’attività imprenditoriale nel campo dell’allevamento ovino, ha permesso nel tempo ad alcuni suoi membri di sviluppare e accrescere anche attività nel ramo notarile. Fra i personaggi più illustri ricordiamo il letterato Giovanni Bernardino di Antonio, scrittore di un carme (2), che ricoprì la carica di primo cancelliere della città di Rieti negli anni 1529-1536 e anche quella di maestro pubblico fino al 1551, incarichi ripresi e continuati nella città reatina dal figlio Claudio, fra il 1536 e il 1548.
Il Magnifici Claudii Chercherasi de Terra Montis Leonis Spoletanæ Diocæsis Scribæ et Cancellari è anche l’autore di un diario ricco di note e appunti sulla storia cittadina e nello specifico sui lavori che Antonio da Sangallo il Giovane diresse in quel periodo per l’opera di bonifica e canalizzazione della valle del Velino, poi detta Cava Paolina. L’attività notarile della famiglia è attestata per tutto il corso del ‘500 (e oltre) attraverso i discendenti di Claudio, dal figlio Alessandro al nipote Lepido e Giovanni Battista. L'ultima notizia che ho è quella di un Eugenio Carcarasi notaio attivo a Rieti nel 1635 (3). Giovanni Battista è il probabile capostipite del ramo romano, da lui infatti discendono Antonio e Angelo, i quali si trasferiscono nella capitale dello Stato della Chiesa, dove erano già presenti numerosi altri elementi della comunità umbra locale. Nel 1611 si ha documentazione di un privilegio d’aggregazione alla cittadinanza romana fatto in favore del dottor “Antonino e Angelo Carcarasi da Monte Leone” (4). In un documento proveniente dall’Archivio Orsini e oggi conservato nell’Università della California, datato al 29 ottobre 1630, troviamo traccia delle diversificate attività economiche dei due fratelli, attivissimi sia nella capitale che nei suoi contorni. Vi si fa difatti menzione di una “vendita di rubbia 200 d’erba nella tenuta di Galer(i)a pel prezzo di (scudi) 4 al rubbio da Giuliano Farnese agente di don Paolo Giordano Orsini ad Angelo ed Antonio Carcarasi di Monte Leone”. Nel giugno del 1634 trovo nota della “consegna di 3702 pecore fatta da Simone vergaro di D(on) Paolo Giordano Orsini per parte di Michele Angelo della Vacca arciv(escov)o Alessandrino Proto(nota)rio Ap(osto)lico agente del Sig(no)r Duca a favore di Angelo Carcarosio di Monte Leone diocesi di Spoleto. Per gli atti di Ang(el)o Scalandrini Bracciano”. L’ultimo legame con la terra natia si spezza forse nel 1639 con la vendita fatta a Monteleone da Antonio e dal nipote Geronimo, figlio di Angelo, di una masseria “di 2150 pecore e capre e con sette cavalle e tutti li figli fatta da Francesco Sinibaldi a nome di Antonio Carcarasi da Monte Leone a Ruggiero e Gian Pietro Sinibaldi per (scudi) 4300, ossia per scudi 2 a capo” (5). E proprio Geronimo è l’attore principale a Monteleone di un mancato pagamento al massaro Giovanni Antonio Collesano per l'acquisto di “pecudes”, pecore e caprette, con riserva di dominio e ipoteca speciale sulle stesse, talché il creditore ricorse prontamente alla Camera Apostolica. Il card. Antonio Barberini (Roma 04.08.1608 - Nemi, 03.08.1671) a istanza del credito di 1000 scudi dovuti da Hieronymus Carcarasius, decretò a tutti gli operatori di giustizia di “sequestrare i beni e obbligare il Carcarasius a risarcire Ioanne Antonius della spesa fatta, oltre a giuli 66 per le spese giudiziali, pena la vendita all'asta dei beni mobili, immobili e semoventi sequestrati, la eventuale cattura e carcerazione del reo ed ogni altro Beneficio canonico atto allo scopo, con divieto di scarcerazione fino a totale pagamento del debito” (6).
A Roma i Carcarasi, ormai ben inseriti nel commercio e ancor più nelle ambite cariche della curia romana e del palazzo apostolico, divennero presto apprezzati oratori, avvocati e medici. Non è un caso infatti che agli inizi del millesettecento un altro monteleonese d’origine, Antonio Piersanti, fra le diverse personalità a suo tempo celebri nella città, rammenta proprio un “Antonio Carcarasi pronipote del Carcarasi che fu uno dei più celebri Avvocati della Corte Romana” e ancora un tal “Monsignor Carcarasi (che) vantava la sua discendénza da Signori Carcarasi di Monteleone” (7). Sempre a Roma, fra le varie proprietà agricole poste fuori le mura la famiglia possedeva diversi beni fra cui un giardino coltivato al Casaletto Mattei fuori di Porta San Pancrazio detto appunto “Orto Carcherasio”; forse lo stesso indicato come la “vigna di Claudio Carcarasi in capo alla salita incontro alla vigna della Vecchia” poi acquistata dalla famiglia Pamphilj, che lo incluse nella grande villa suburbana. Antonio a quanto mi è dato sapere ebbe diversi figli, fra cui Pietro (scomparso nel 1626), Giovanni Battista e Carlo Vincenzo detto Vincenzo.
Targa in ceramica, apposta a cura della Associazione Pro Trivio nel 2002, in località Cargarasu,
Morì in Roma all’età di circa 75 anni, il 27 novembre del 1690. Con testamento del 26 novembre 1650 lasciò il suo patrimonio al Capitolo Vaticano, disponendo che con le rendite dei suoi beni si formassero doti nuziali per le zitelle povere, per il valore di scudi venticinque l'una. Inoltre, “nell'anno 1662 donò a S. Pietro cinquantotto lampade di argento del peso complessivo di quasi cento libbre, due delle quali avevano sul loro dorso del cherubini, e le altre erano fatte a cipolla, prescrivendo che stessero alla Confessione del beatissimo Principe degli Apostoli” (10). Uno stretto parente, del quale non sono riuscito a stabilire il grado di consanguineità, è il medico della corte pontificia sotto Urbano VIII, “Paolo Carcharasio spetial di palazzo”, che nella stessa chiesa romana dove riposa Giovambattista seppellì il piccoli figlio Matteo (11). La discendenza romana sembra chiudersi con Pietro nipote dell’omonimo, senatore e nobile romano, benefattore della conservatoria di S. Eufemia residente nel rione Ponte; nella chiesa di S. Francesco a Ripa si conserva il suo monumento e l’epigrafe funebre con ritratto marmoreo (12). Il cognome della famiglia venne ripreso dal Conte Livio Pollidori Carcarasi (per conseguita eredità) prefetto dell'archivio storico, cultore delle patrie memorie, senza prole; nato in Orvieto il 19 settembre 1715 e ivi deceduto il 13 luglio 1797.
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