Nel primo "quaderno di Ruscio " abbiamo parlato del fenomeno dell'emigrazione negli Stati Uniti d'America che interessò molti nostri paesani ai primi del novecento. Tuttavia, nonostante la lontananza, fu sempre ben saldo il legame con la terra natia, con i familiari e gli amici che lasciavano e lo dimostra questa prosa "in ottave" che Nicola Marchetti scrisse il 13 agosto 1945 a Giuseppe Vannozzi, zio di Maria Marchigiani. Risposta all'amico carissimo Giuseppe Vannozzi Svegliati mente e tu cervello mio Mettite tutto al contatto del core Perché da scriver io ho gran desio E da rispondere a n'amico cantore Temprati o penna che l'esigo io E tu mia mano fatti onore Scrivendo chiaro e limpido sto foglio Che per risposta rimandar io voglio. Sono il tuo amico nato in quello scoglio Di Monteleone dentro la vallata Uguale come te sento l'orgoglio Per quella Madre terra a noi adorata L'anno della mia nascita dir voglio Che con amore me l'hai domandata Il mille novecento sei, fu di gennaio Che al mondo presentai il mio primo raio Credo d'indovinare e non mi sbaglio Ho già passata io la quarantina Superandolo in vita più di un guaio Però ringrazio la bontà divina Contro il passato male non mi scaglio Della mia vita giovane e meschina Con lo mio genitor sempre ammalato Casa do’ nacqui poco ci ho abitato Ma grazia a Dio tutto ho superato A ventiquattr'anni presi una sposina Dello stesso paesetto, un fior pregiato Per me assai bella giovane e carina Dello stesso tuo nome ha il casato Ed il bel nome suo l'è Paolina Ora ti metto a chiaro la ragione Nicola è il padre il nonno è Paolone Tre figli ho avuti dalla santa unione La prima è già una bella signorina Ed il secondo è maschio ha una passione Suona la fisarmonica e indovina La più piccina al padre già si oppone Qualche rimetta ogni tanto compone Se tu sapessi quanto so contento Che come me ha lo stesso sentimento Per moglie e figli una passione sento Forse con troppo tenerezza e amore Ma ne so pago e non mi lamento A lungo goder me la farà il Signore lo che lavoro sol per quell'intento Per coltivar il giardino mio ogni fiore Spero che a lungo porta questa vita Fin quando l'opra non avrò compiuta Trent'anni fa la feci io la partita Dal paesetto, però tristo in core, era la strada torbita e smarrita che ancor il ripenso a me ne da dolore Misera vita giovane e incompiuta Con venti lire al mese: oh Dio il sudore! Che io versavo questa è la ragione Già sotto li sacchetti der carbone Però la fortuna che ordina e dispone Mi fece educato e onesto giovinetto Tanto che allungo lo cambiai il padrone Questo vuol dir che nutria rispetto Simpatizzando tutte le persone Che avvicinavo per aver ricetto Perciò tal grazia nata in me ancor dura Fin quando vivo mai ci avrò paura. Passano gli anni e la vita matura Si arricca di esperienza e di vedute II necessario l'uomo si procura Negli anni ricchi della sua salute Così pur feci io per mia voluta Riseminar le piante del mio ramo Ch'io le coltivo e poi ti giur che l'amo E del lavoro mio questo è il richiamo Per mantener la lor vegetazione Così tranquilli in pace ne viviamo Ma sempre nero fra mezzo al carbone Alla meglio via più ci difendiamo Per quanto sia n'a brutta professione Si è combattuti dalla luce e gasse Non bastan i soldi per pagar le tasse Ma fin quando ci ho sane le ganasce E la mascella lavora spedita Non temo le persone magre e grasse Perch'io la so nutrire ogni mia vita Tutto dal mio lavoro se ritrasse Per vedere la pianta invigorita Che sboccia fiori e dai fiorellini e' profumata la mia chioma e crini Di me ti ho detto ed ora se indovini Ti do i saluti della tua sorella (ndr. Agata Vannozzi, madre di Maria) che l'altro giorno stiedi a quei villini della nostra frazione tanto bella ci trovai a villeggiar due sposini (ndr. Filomena Vannozzi e Simone Angelini) di te gli ne parlai sai che era quella tua nipotina e con tanto piacere ti do i saluti perché è mio dovere Ti ho detto tutto quel che vuoi sapere Come è formata la mia famiglia E quello che ricavo dal mestiere Quand'è la sera assai mariconsola Nel dirti tanto in me cresce il piacere Veder sbocciare il giglio e la viola Dello stesso giardino germogliato Una profuma e l'altro sboccia accanto Ora tralascio, è tempo ch'io la pianto Prendi i saluti amico mio cortese Scrivimi pure che mi piace tanto Mantenere lo stile del paese Se a me la mandi io pur farò altrettanto Per quanto lo far mio non sia palese Però m'arrangio quando mi ci metto Or ti saluta il figlio d'Arfonzetto Tuo Nicola Marchetti
|