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Li ferrari E-mail
La Barrozza - Estate 1998 - anno VII n. 2
Scritto da Mario Lotti   

Personaggi e tradizioni di Ruscio

Continua la rubrica dedicata al ricordo di persone, luoghi e tradizioni di Ruscio, che intende coinvolgere tutti coloro che volessero segnalarci proprie memorie personali e legate all’intera comunità.

LI FERRARI

Più di quarant’anni fa, ai tempi della civiltà che chiamiamo contadina, Ruscio, come tutti gli altri paesi, aveva un aspetto ed una vita del tutto diversa rispetto a quella odierna; tutte le case erano piene di gente, e le stalle piene di animali.

Durante il giorno, quando gli animali erano al pascolo o al lavoro, le stalle e le piazze pullulavano di galli e galline ruspanti, di piccioni, e si incontrava anche qualche maiale.

Animali da soma (asini, cavalli e muli) erano legati alle “campanelle”, anelli attaccati ai muri delle case.

Sul “borgo”, la strada principale di Monteleone, si affacciavano attive botteghe di tutti i mestieri.

Sarti, barbieri, “speziali”, venditori di stoffe e liquori vari, calzolai che allora non vendevano scarpe belle e fatte, ma ti prendevano le misure del piede (lo disegnavano su di un pezzo di carta foglia), e costruivano direttamente la scarpa robusta e ferrata; per realizzarla usavano anche la pece, e per questo motivo venivano detti “pecioni”.

Ora come i “pecioni” facevano e riparavano le scarpe dell’uomo, di vitale importanza erano i “ferrari” (singolare “lu ferraru”) per le calzature degli animali da soma e da lavoro.

Calzature per asini, muli e cavalli, e per le vacche che davano il latte, e per i vitelli che sotto il peso del giogo aiutavano l’uomo nell’aratura nei campi e nei boschi.

I nostri avi utilizzavano la vacca per il Lavoro nei campi, e non il “pio bove”, perché non potevano permetterselo come invece facevano i ricchi agricoltori della campagna romana.

I fabbri ferrari erano due e avevano la bottega proprio fuori Porta Campanella a Monteleone.

Quando dovevamo ferrare un cavallo o un asino, andavamo direttamente davanti la loro officina; ma per le vacche la cosa era diversa.

Avevano infatti predisposto a Ruscio due installazioni (ognuno la sua), chiamati travajo; non credo che questa parola possa italianizzarsi nel travaglio, ma così era.

Erano posti uno dove oggi è la fontana delle mole, davanti alla chiesa dell’Addolorata, a Ruscio di sotto, l’altro sul largo appena all’ingresso di Ruscio di sopra.

Quando venivano “li ferrari” arrivavano con i ferri del mestiere, ma i primi di agosto, se ricordo bene, venivano come ad un appuntamento ben preciso, per preparare gli animali ai lavori di aratura dei campi.

E tutti i contadini (oggi coltivatori diretti) preparavano i loro animali per “cambiare le scarpe”, cioè i ferri.

I ferri erano fondamentali perché nei campi la roccia ed i sassi potevano far zoppicare l’animale.

“Lu travaju” era formato da cinque travi piantati per terra; una trave sul davanti era corredata da un verricello, e serviva per legare la testa dell’animale.

Le altre quattro travi, due per fiancata, erano distanti l’una dall’altra quanto la distanza approssimativa delle zampe dell’animale.

Le due travi anteriori avevano all’uopo due robuste mensole di legno dove venivano legate le zampe anteriori.

Un ulteriore ingegnoso marchingegno rendeva possibile sostenere con due robuste fasce di corda passanti sotto l’animale il peso non indifferente della bestia.

Le zampe posteriori venivano poi legate, una alla volta, ad una stanga passante attraverso diversi fori fatti ad altezze diverse nelle travi posteriori del travajo.

La ferratura veniva fatta una zampa alla volta, per non gravare tutto il peso dell’animale sull’apparecchiatura di legno.

Lo zoccolo veniva pulito e tagliato (un lavoro da pedicure), ed il nuovo e vecchio ferro riaggiustato veniva di nuovo inchiodato sullo zoccolo; il lavoro era fatto.

Mario Lotti 

 
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