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Ricordi di una maestra |
La Barrozza - Natale 2006 - anno XV n.3 | |
Scritto da Renato Peroni | |
A volte la vita riserva delle gradite sorprese! Durante la cerimonia di assegnazione del premio letterario “Fenice Europa” che si è svolta a Monteleone di Spoleto sabato 9 Settembre u.s. abbiamo avuto la fortuna di incontrare la segretaria del premio Signora Maria Antonietta Benni Tazzi, persona squisitamente gentile e di grande cordialità. Ma la cosa più sorprendente è stata quella di aver scoperto che il primo ottobre 1956 la Signora Benni Tazzi fu mandata ad insegnare nella scuola elementare di Rescia dove rimase per l’intero anno scolastico e l’anno successivo venne ad insegnare a Ruscio. Che emozione richiamare alla memoria tempi passati, quasi dimenticati, di una vita fatta di tanti sacrifici nell’assenza assoluta di ogni comodità: ci si accontentava dell’essenziale, pochi semplici vestiti , un mangiare sobrio fatto di cibi che la natura, non sempre generosa, offriva. La Signora Benni Tazzi ha anche scritto un racconto, “Serafino”, che tratta di un episodio di vita vissuto a Ruscio e pubblicato in un suo libro di memorie. Degno di nota è il modo in cui la maestra, per ovvi motivi di privacy, ha cambiato non solo i nomi dei protagonisti (Angelo e’ diventato Serafino), ma anche i nomi dei luoghi scegliendone di nuovi in modo molto significativo: Ruscio è diventato Valle ombrosa, Rescia invece diventa Montelupo e Cascia viene chiamata Roccasanta. Cediamo volentieri la penna alla Signora Benni Tazzi, ritenendo di fare cosa gradita ai lettori della Barrozza, e pubblichiamo integralmente l’articolo che ha inviato al Presidente della Pro Ruscio,Vittorio Ottaviani, perchè offre uno spaccato di vita quasi eroica, affrontata da una giovane maestra di 25 anni per insegnare a leggere e scrivere ai figli di uno sperduto paese di montagna. Quest’anno la manifestazione finale della 9° edizione del Premio Letterario Fenice-Europa si è tenuta a Monteleone di Spoleto. Scuola di Ruscio A.S 1957 - 1958 Mi guardavo intorno. La natura è sempre quella: montagne a perdita d’occhio davanti a me, diversamente colorate mano a mano che s’allontanano: verdi, azzurrine, violacee, grigie, fino a confondersi con il cielo. Arrivata a Monteleone di Spoleto, nel caratteristico ed accogliente Hotel Brufa, il mio primo pensiero è stato quello di guardare verso la vallata: laggiù c’era Ruscio, dove trascorsi un anno scolastico intenso, sofferto e piacevole al tempo stesso. Laggiù vedevo lo sterrato del fiume Corno attraversare la vallata come una grande ferita bianca e la strada, oggi asfaltata (a quel tempo era soltanto un sentiero o, meglio, una mulattiera) che sale su su fino alla frazione di Rescia nascosta dietro l’alta montagna. A Ruscio c’ero ritornata tempo fa, con la mia famiglia, unicamente per rivedere un posto per me indimenticabile; l’avevo trovato mutato. Le vecchie case di pietra antica grigio-scura non c’erano più. Un ponte, che nel 1956 non esisteva, ora scavalcava il fiume Corno ridotto a torrente, dove però non scorre più nemmeno una goccia d’acqua. Nel 1956, per raggiungere Rescia, io lo attraversavo a guado o a piedi o a cavallo di Regina, una mula che mi veniva gentilmente prestata da un cortese contadino. Di acqua ce n’era sempre; al minimo mezzo metro. Qui molta gente ha lasciato i campi e la pastorizia. E’ emigrata per lo più a Roma e con i soldi guadagnati con il proprio lavoro ha rimesso a posto la casa di montagna, dove viene in villeggiatura. Così ho visto gente dall’aria cittadina e ben vestita. Da Ruscio, invece, potevo muovermi meglio perché durante l’estate m’era stata regalata dal mio geloso fidanzato (oggi mio marito) una Fiat 600 comprata di seconda mano. Con quella vecchia automobile bicolore, grigio-perla e rosso amaranto, quanti passaggi detti ai miei colleghi appiedati! Ho narrato di quando venivano a trovarmi i colleghi (qui di seguito nominati) e di quante risate e cantate (andavano di gran moda le canzoni di Modugno) abbiamo fatto nella nostra beata gioventù, che se ne fregava dei sacrifici che dovevamo affrontare. Ho raccontato agli amici di quella volta che, alle cinque del mattino, con la mia 600 portai all’ospedale di Cascia una donna incinta con le doglie in corso.Era gennaio, era ancora notte e c’era tanta neve. Arrivammo all’ospedale appena in tempo. In modo naturale e senza problemi, dette alla luce il suo terzo maschio, al quale fu imposto il nome di Serafino. Quando ritornai in paese, trovai gli abitanti di Ruscio che, in grande agitazione, mi aspettavano davanti alla scuola. Quando detti loro la bella notizia, che il bimbo era nato, era bello e la mamma stava bene, mi portarono in trionfo quasi avessi fatto chissà quale miracolo. Ho raccontato della recita che, in occasione della “Festa della mamma”, io e la mia collega Raffaella Morbidoni, insieme alle suore e ai bambini della scuola materna, organizzzammo con tutti gli alunni della scuola elementare. Erano presenti, oltre agli abitanti entusiasti, le personalità civili e religiose del tempo: il sindaco di Monteleone, il Direttore didattico di Cascia, il Parrocco Don Sestilio Silvestri e la Madre Superiora. Fu un successone. Andammo a finire sul giornale. Ho conservato l’articolo nell’album dei miei ricordi scolastici. Ormai è ingiallito e consumato; anch’esso ha quasi cinquant’anni di età, ma è una testimonianza preziosa, che non vorrei perdere. Oggi, guardando la vita moderna, può sembrare che tutto sia perduto, crollato e che ciò che è stato ricostruito, anche se apparentemente è più bello, non valga nemmeno un’unghia di ciò che c’era allora! Ma non è vero. Ne ho ricavato un ulteriore grande insegnamento: i veri valori di vita, morali e sociali, lì esistono ancora. La gente di montagna ha dimostrato al numeroso pubblico intervenuto (oltre seicento persone sono venute da fuori e alcune anche dall’estero) che con la disponibilità, l’impegno, l’aiuto e le forze di tutti si possono fare grandi e bellissime cose, che rendono la vita degna di essere vissuta. Ospedalicchio, 16/09/2006 Maria Antonietta Benni Tazzi |
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