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venerdì 31 marzo 2023
... il nostro Alfredo Vannozzi, Soldato nel 1 Reggimento Artiglieria, deceduto per ferite in Albania, il 31/03/1941

Soldato Alfredo Vannozzi

Soldato nel 1° reggimento Artiglieria
Deceduto per ferite in Albania il 31/03/1941

 

Alfredo, di Mariano e Paolina Poli, nasce a Monteleone il 14 agosto 1910. La professione dichiarata nel foglio matricolare e’ “cameriere”, e, grazie a questa, gli verra’ affidato l’incarico di Attendente di Ufficiale.

 

Alfredo era sempre stato un tipo schivo e timido, ma determinato. Sin da bambino aveva fatto la spola tra Ruscio e Roma, lavorando per aiutare la famiglia. Poi a 18 anni, contagiato dal morbillo, torna al paese per curarsi e qui vi rimane per circa un anno. Chi lo ha conosciuto racconta che Alfredo, pur nella malattia e una volta guarito, approfittò di questo periodo, aiutato dal parroco don Sestilio, per imparare a leggere, scrivere e a “dar di conto”, in quanto capisce che per avviare un’attività seria a Roma ha bisogno di un’istruzione adeguata. (in corsivo riportiamo il ricordo di Tiziana Vannozzi, pronipote del Nostro)

Svolge, con buona condotta e servendo con “fedelta’ ed onore” il servizio di leva, dal marzo 1931 al settembre 1932, presso il 32° reggimento Artiglieria da campagna.

Nel 1936, all’età di 26 anni, dopo aver lavorato come garzone, dapprima in un bar e, poi, in un negozio, apre insieme al fratello Augusto, di un anno più piccolo, un esercizio di generi alimentari in via Pasquale Tola, a Roma. Due anni dopo, in seguito alla morte del padre, li raggiunge anche la sorella Ida, di 16 anni, che inizia a lavorare con i fratelli.

In seguito alla dichiarazione di guerra alla Grecia, viene richiamato alle armi e inquadrato nel 1° reggimento di artiglieria Divisione di Fanteria “Cacciatori delle Alpi, il 22 dicembre 1940.

Il Natale è alle porte e Alfredo è dispiaciuto di non poter passare le festività con i suoi cari, ma è costretto a partire. Per tre mesi presta servizio a Spoleto e poi, il 3 marzo del 1941, viene trasferito a Valona, in Albania. Da qui scrive alla famiglia un’unica lettera datata 24 marzo 1941, nella quale comunica che li avrebbe informati successivamente della nuova destinazione.
In quella stessa lettera Alfredo raccomanda ai fratelli di chiudere presto il negozio, in quanto muoversi durante le ore in cui è in vigore l’oscuramento diventa troppo pericoloso. Difatti, la strada tra il negozio e l’abitazione, sita in via S. Maria Ausiliatrice, nel quartiere Tuscolano, è abbastanza lunga e Alfredo teme per l’incolumità di quei due fratelli più piccoli che ha lasciato soli. In questa stessa prima, e purtroppo ultima, missiva Alfredo si preoccupa anche dell’anziana madre che sta trascorrendo i mesi invernali a Roma con i figli. Chiede ai fratelli di stare attenti che non prenda freddo e che tengano sempre acceso il braciere, l’unica fonte di calore della casa. Termina dicendo “Fatevi coraggio, vi abbraccio cari fratelli”.
Quelle sono state le ultime parole di Alfredo alla famiglia: morirà infatti 7 giorni dopo nell’ospedale da campo della Croce Rossa, colpito a morte dal nemico.
La sua avventura in Albania è durata in tutto 18 giorni.

La Divisione Fanteria “Cacciatori delle Alpi” viene trasferita in Albania nel gennaio 1941 e le viene affidato il settore Bubes - Ciaf e Chiciocut - Mandero e successivamente assume la responsabilita’ del tratto tra la confluenza del Perroj e Bubesit.
Il 25 gennaio il nemico attacca in forze Bregu Gliulei con l’intenzione di aprirsi un varco verso Berat. Nonostante la strenua difesa, il nemico sfonda le linee, costringendo le decimate unita’ a indietreggiare fino al torrente Lumiberat.

Ma il contrattacco italiano non si fa aspettare e dal 9 al 16 marzo vengono attaccate le posizioni nemiche di Mali Spadarit e Bregu Glulie che vengono parzialmente riconquistate.

Il 1° rgt. art. nei giorni precedenti il 31 marzo 1941, si attesta intorno a quota 955 di Bregu Gliulei. L’attivita’ nemica non e’ intensa, come si evince dalla lettura del diario delle unita’ combattenti, anche se si notano concentramenti di truppe nelle vallette boscose a destra di quota 960 di Chiaf e Murit.

Violente e repentine sortite e tiri di interdizione sulle trincee nemiche sono all’ordine del giorno, ma non per questo non mietono vittime tra italiani e greci.

Durante uno di questi combattimenti, il nostro Alfredo, viene colpito da una scheggia di granata. Morira’ poco piu’ tardi all’ospedale da campo n° 639 dell’11° battaglione Alpini.

Il 15 Aprile, la Divisione prende parte all’offensiva generale e, vinte le resistenze nemiche nella zona, il 21 Aprile blocca il nemico in ritirata, impedendogli di defluire verso il confine greco.

Nello stesso giorno viene firmato l’armistizio.

I familiari di Alfredo riceveranno l’indennita’ di 500 lire lorde (353 al netto delle imposte).


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Nota Genealogica
E’ tenuto a battesimo il 14.8.1910 da Erasmo e Rita Reali. Era il primogenito di Mariano (nato il 27.5.1882) e Paolina Poli che infatti si erano sposati il 14.9.1909. I nonni erano Bartolomeo Vannozzi del 1842 (di Giovanni Antonio e Antonia Cicchetti) e Rita Ranaldi (di Mariano). Il nonno del nonno era ancora Bartolomeo (1766) e Bartolomeo era pure il nonno del nonno del nonno, nato intorno al 1700 in Capo d’Acqua.
Il 3.9.1911 nasce un fratello di Alfredo: Augusto, padre di Alfredo del Casale Macario


[aggiornamento del 07/08/2018]

 

Successivamente, esumato dal cimitero di guerra provvisorio, sarà ricondotto in Patria. Oggi riposa nel Cimitero Comunale di Monteleone.

 

   

 

 

 

Le Cravatte Rosse del 1° Artiglieria

Durante la consultazione dei Diari Storici, che abbiamo potuto eseguire addirittura in originale, ci siamo imbattuti in una serie di buste contenenti documentazione ufficiale, quale fonogrammi, ordini e dispacci, ma anche appunti, fotografie, schizzi realizzati dai militari e ritenuti degni di essere conservati da parte dei Comandanti i reparti.
E cosi’, abbiamo avuto la fortuna di rintracciare questi due brevi bozzetti che tratteggiano altrettanti “cravatte rosse” del 1° Artiglieria.

Il Capo Pezzo
Gli artiglieri stanno portando il pezzo in posizione. Sul terreno fangoso i serventi si arrampicano portando i carichi sulle spalle, mentre la colonna dei muli poco sotto si svolge lentamente.
Il movimento sulle posizioni di Chiafa e Scosse e’ stato avvertito dalle artiglierie nemiche, che, dalle posizioni dominanti, incominciano ad inviare una prima “foraggiatina”. E’ il primo contatto dei giovani artiglieri con il fuoco.
Le granate fischiano in alto e cadono con violenti crepitii; le schegge volano ronzando. Al primo momento si resta attoniti. Poi la voce dell’Ufficiale risuona energica: ”Coraggio, ragazzi, ci siamo!”. Il lavoro riprende con piu’ lena. Al terzo pezzo il caporal maggiore in ginocchio dirige le operazioni con straordinaria calma. Ma, perche’ non si alza? Con una mano si preme il fianco che il tiratore, a lui vicino, vede sporca di sangue. “Oh, una sciocchezza” risponde allo sguardo di questi. “Avanti, presto, rispondiamo subito a quei figli di cane!”.
Il crepitare del tiro nemico continua intenso, ma sotto il suo esempio gli artiglieri moltiplicano i loro sforzi.
Il pezzo e’ pronto e tra poco aprira’ il fuoco… il primo fuoco su questa terra d’Albania or piu’ che mai nostra, perche’ intrisa del nostro sangue.
Il capo pezzo ora si siede appoggiandosi al braccio; il sangue, uscito in gran copia, si e’ sparso sul grigio verde della sua giubba. Ora egli puo’ ricordarsi della sua ferita … ora che il suo pezzo comincia a tuonare.

Il conducente
Si volevano bene come fratelli, lui e il suo mulo. Questo lo diceva con assoluta serieta’ e, infatti, quando li vedevano insieme a nessuno veniva voglia di ridere.
Ogni mattina con amore lo caricava del suo basto dopo aver esaminato e accarezzato le spelature della groppa; gli stringeva il sottopancia senza strapponi, poi aiutava a caricare la bocca da fuoco… piano… senza scosse. 
Con uguale comprensione l’uno eseguiva e l’altro sopportava le necessarie operazioni. All’arrivo, deposto il carico, tutti e due arzilli e leggeri (sembrava che anche lui si fosse alleggerito del fardello del suo mulo) andavano verso il filare. Solo quando la bestia poteva dirsi tranquilla, asciugata e sazia, l’uomo andava a levarsi le scarpe vicino al fuoco. Quel giorno pero’ il mulo sembrava stanco e l’occhio non era vivace come il solito. Silenziosamente, il mulo aveva risposto che stava male. Si doveva risalire l’arduo sentiero per Chiafa e Scosse, per andare in posizione. Si parte. Lui avanti e il mulo dietro. Lui con l’occhio rivolto ai punti piu’ pericolosi, guidando i passi del mulo insolitamente malsicuri, per quel sentiero che si inerpica su, sempre piu’ stretto, coperto di una melma sempre piu’ fonda e cedevole.Ora il sentiero prosegue a mezza costa e giu’ e’ il precipizio.

Il mulo si ferma… sembra che senta la responsabilita’ del suo carico ed ansima rumorosamente. Il conducente lo accarezza con affetto… gli avvicina la guancia al muso, parlandogli sommessamente. “Avanti… fa’ ancora qualche passo!”. Il mulo obbedisce ma si vede che solo l’affetto per il suo conducente lo muove. L’uomo guarda ancora la bestia negli occhi; vi legge tutto lo strazio, perche’ ora, per la prima volta non puo’ seguirlo.

Pure bisogna andare. “Va la’, povero vecchio, oggi ti sostituisco io!”. Carica sulle spalle la bocca da fuoco. “E ora via”. Mulo e conducente, ancora uno dietro l’altro, riprendono il cammino, verso le posizioni.

 

 Per saperne di piu' leggi: "I Caduti di Ruscio nella II Guerra Mondiale", I Quaderni di Ruscio, anno 2004, n.4 e successivi aggiornamenti  

 

 
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