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Vecchia storia di Ruscio e anche storia di lupi |
La Barrozza - Natale 1996 - Anno V n. 3 | |
Scritto da Mario Lotti | |
Alcuni anni fa, quando ancora affrontavo la salita di Colle Ruscio senza paura, soddisfeci finalmente un mio vecchio desiderio; ripercorrere il vecchio sentiero che i nostri avi usavano per recarsi a Roma, attraverso la Valnerina fino a Terni, dove poi prendevano il treno. Quindi una mattina io, Nicola e Aldo ci incamminammo lungo la via del colle, continuammo sul crinale del Monte Aspra fino al valico attraverso il quale si discende verso la “valle” (Valnerina) passando per il paese di Terria. Ab antico su questo valico esistevano terreni coltivati a grano di proprietà di famiglie rusciare e di Terria, che si ritrovavano insieme durante i lavori agresti, specialmente durante la mietitura, al punto che spesso poi le famiglie si imparentavano. Ad esempio una sorella di mio nonno Antonio Cicchetti, detto Garibaldi, sposò a Terria un membro della famiglia Rosati, ed i suoi figli venivano sempre alla festa di Ruscio (vecchio cacciatore di tartufi). Al tempo della mietitura si trovavano tutti a lavorare su questi campi, mietevano il grano e nella difficoltà di trebbiarlo in loco battevano le spighe (scapocchiavano il grano), radunavano il grano caduto e le spighe dentro grandi lenzuoli e lo trasportavano all’ara di Ruscio dove finivano la trebbiatura. All’uopo avevano approntato degli spazi puliti e parzialmente secciati che chiamavano “Arette”, tuttora esistenti. Tornati così dalla gita, sulla piazza davanti casa mia incontro Antonio Peroni detto “Lu Condosso” (il perché di questo soprannome non lo conosco) e così parlando della strada, del tempo passato, mi raccontò di quando giovane tornava in licenza dal militare. Anche lui si fermava dai parenti a Terria per la notte, e la mattina seguente partiva verso le otto per arrivare a Ruscio “che ‘ntoccava”, cioè suonava mezzogiorno, e volle così raccontarmi quanto a quell’epoca accadde ad un suo cugino che tornava dalla “Valle” dopo essere andato in giro a riparare caldaie, conche e simili (era ancora molto lontana l’era dell’usa e getta dei nostri giorni); era cioè un calderaro durante l’inverno, quando la natura dormiva. Un lupo per un uomo come lui, oltretutto con l’accetta, non faceva davvero paura, e continuò quindi il suo lavoro; dopo un po’ di tempo un altro ululato si fece sentire. Si mise a letto con una febbre altissima, e dopo una settimana morì. Allora si può morire anche di paura? Chiesi. |
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