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Una finestra sulla Valnerina: Castel San Felice E-mail
La Barrozza - Pasqua 2004 - anno XIII n. 1
Scritto da Francesco Peroni   

Suggerimenti per una gita alla scoperta della nostra terra

Castel San Felice
La leggenda di San Mauro e San Felice

Avrete sicuramente avuto l’occasione di ammirare la bellissima chiesa di San Felice di Narco, che abbiamo gia’ descritto in un articolo del nostro notiziario (anno VII n° 1); alla base della sua fondazione e dell’annesso convento, c’e’ una leggenda fantastica che ha come protagonista, ovviamente, un drago.
Un antico manoscritto, conservato nella Biblioteca Alessandrina, racconta che 300 compagni, di salda fede cristiana, da Cesarea e Laodicea di Siria, si erano messi in viaggio verso l’Europa per affrontare il martirio. Fra loro, Mauro e il figlio Felice che, sbarcati in Italia, si diressero verso il territorio di Spoleto in un luogo chiamato Narco presso il fiume (“in partibus Spoleti, in loco qui dicitur Narcus, iuxta fluvium”). Qui, conducono una vita eremitica fatta di preghiere, veglie e digiuni.
 

La popolazione narcana, diffusasi la fama di santita’ di Mauro e di suo figlio, richiede loro di liberare la valle da un mortifero drago. Il giorno seguente Mauro, con il suo bastone, si reca dove viveva il drago e pianta per terra il bastone di legno di pino che miracolosamente fiorisce e mette radici. (Ecco, dunque, spiegata l’introduzione in Valnerina del pino d’Aleppo, pianta molto rara ed insolita in aree consimili, ma cosi’ diffusa nelle nostre zone).
Quindi, rallegrato da tale prodigio, Mauro decide di costruire una nuova dimora in quel punto quando d’improvviso “preannunciato da terribile fetore”, il drago, eruttando fiamme dalla bocca, tenta di assalirlo. Mauro, dopo essersi fatto il segno della Croce affronta il “ferocissimum serpentem” e lo uccide.

Ed ecco a voi un’altra storia…

IL DRAGO E IL CAVALIERE
Di Mino D’Urso

Nell’unica regione del centro Italia non bagnata dal mare, sorgeva un tempo lontano una ricca e prosperosa città circondata da alte e possenti mura che la difendevano dalle scorrerie di nemici e briganti.
Ai margini di un’ampia palude, sulle pendici prevalentemente collinose vegetavano fitti boschi di querce, faggi e castagni, popolati da scoiattoli, lepri, volpi, e agili caprioli, ambita preda del vorace lupo grigio.
La vita serena e laboriosa dei suoi abitanti era però minacciata dalla presenza di un terribile drago. Il corpo enorme e massiccio ricoperto da una corazza di scaglie verdastre era sormontato da una cresta di aculei fitti ed acuminati che si estendevano dalla sommità della testa fino alla lunga coda robusta,
La bocca, munita di denti forti e affilati come rasoi, era sormontata da perfidi occhi, vermigli come le lingue di fuoco che erompevano dalla sua gola profonda.
Il terribile mostro, quando era affamato, usciva dalle folte selve circostanti e divorava in un solo boccone i pellegrini e i viandanti che si recavano in città.
La gente, terrorizzata, non osava più uscire nelle campagne per coltivare i campi e commerciare con le vicine contrade.
Ogni attività produttiva languiva e col passare del tempo gli abitanti della città, asserragliati entro le mura, cominciarono a patire la fame e gravi malanni.
Riunitosi, il Gran Consiglio dei saggi decise di convocare i più prodi e coraggiosi guerrieri e di offrire una ricca ricompensa a chi avesse sconfitto la terribile minaccia.
Nessuno di costoro, però, ebbe fegato e cuore di affrontare il temibile nemico e il popolo, ormai allo stremo, decise di sacrificare le ultime greggi alle fauci del drago per placare il suo insaziabile appetito.
Durante la notte, rischiarata da una luna pallida e fredda, si udivano solo i pianti disperati dei cittadini e dei fanciulli affamati, allorché un cavaliere su un bianco e poderoso cavallo bianco bussò alle porte della città.
Giunto sulla piazza dove sorgeva il palazzo del Consiglio, chiese che si convocassero immediatamente gli anziani e, fiero e risoluto, si presentò al loro cospetto.
- Sono pronto ad affrontare l’orribile mostro che vi minaccia - annunciò con voce solenne - ma in cambio dovrete promettermi un’adeguata ricompensa.-
- Chiedi pure ciò che vuoi - replicarono increduli i saggi - siamo disposti a donarti tutte le ricchezze del nostro paese se riuscirai a liberarci dalla schiavitù del drago.-
- Non desidero oro né gioielli. In cambio della vita della belva dovrete darmi in sposa la principessa più bella della vostra città -.
- Non temere - replicarono sollevati gli anziani notabili - manterremo la nostra parola e in più ti doneremo il castello che si trova sulla cima della collina appena fuori le mura.
Il giorno seguente, prima del sorgere del sole, il cavaliere, indossata la sua lucente armatura e brandita una lunga spada ed un grande scudo arricchito da un prezioso fregio d’oro zecchino, montò sul fido destriero e uscì dalla cinta della fortezza.
Tutti gli abitanti si affollarono trepidanti sui bastioni merlati per assistere all’impari scontro.
Era un mattino freddo e nebbioso, la brina gelata crepitava sotto le robuste zampe del cavallo che al piccolo trotto si avviò sull’ampia palude ai margini del bosco, nei pressi di due fiumi che dalle pendici dei monti scorrevano vicini sul piano.
D’improvviso un ruggito tremendo ruppe il tetro silenzio e la fiera crudele si avventò sul nemico eruttando fiamme roventi dalla bocca smisurata.
Al riparo dello scudo, Il cavaliere colpiva con violenti fendenti il terribile drago ma la lama d’acciaio temprato neppure scalfiva la sua dura corazza.
Il cavallo, impedito dalla pesante armatura, affondava gli zoccoli nel fango e non riusciva a sottrarsi con rapidi scarti agli attacchi veloci del mostro.
Il prode guerriero stava per essere sopraffatto, quando i raggi del sole, squarciata d’improvviso la bruma, lambirono il fregio dorato dello scudo e il bagliore riflesso colpì gli occhi crudeli del drago accecandolo.
Rapido come il fulmine il cavaliere affondò la lama tagliente della spada nella gola indifesa della belva che con un urlo di dolore e di rabbia crollò senza vita e piombò giù dall’alto e scosceso dirupo che s’inabissava in una gola profonda.
I fiumi, confluiti nel solco scavato dalla rovinosa caduta, precipitarono con un rombo assordante nella cupa voragine sommergendo per sempre il corpo del drago.
I cittadini felici accolsero festanti l’eroe vittorioso che sposò la bella principessa e con lei visse a lungo felice.
Sul luogo del cruento conflitto si formò un’alta cascata e le sue acque croscianti imperlano di fresche gocce cristalline la folta vegetazione circostante.
Il magnifico scenario delle candide acque spumeggianti che brillano nel verde smeraldino dei boschi e nell’azzurro del cielo offre ancora oggi un paesaggio incantato e indimenticabile.


 
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