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E' passato il terremoto |
La Barrozza - Natale 2016 - anno XXV n. 2 | |
Quando arriva il terremoto hai contro la natura e visto che la natura ti toglie la possibilità di dare a qualcuno la colpa di quello che è successo.. lei è davvero l’avversario più temibile che possa esistere. E allora prendiamolo come occasione di crescita, una tappa drammatica delle nostre vite che non può essere evitata e che dunque non può essere che messa a frutto. Siamo nati e vissuti col terremoto. Anche chi è nato dopo il 1979 è come se, coi racconti dei genitori o dei nonni, avesse vissuto anche quel terremoto. Nonno Mintonto quella sera era all’osteria da Giovanni e raccontava che corse in bicicletta fino a casa; mamma dormiva e credeva che fosse solo una folata di vento più decisa a far tremare i vetri delle finestre. Papà racconta della vita post-terremoto nelle casette. Zia era a lavoro a Perugia e non riusciva a contattare nessuno a casa. Vigili del Fuoco a Ruscio (foto Arch. Pro Ruscio, 2016) Tutti noi, figli di quella generazione, ci siamo chiesti come davvero potesse essere il terremoto di cui si parlava sempre con quel numeretto: “1979”. Fino a quando, circa venti anni dopo, lo abbiamo “conosciuto di persona”: era il 1997. Quella notte tutto tremava e tutti fummo svegliati. All’epoca c’era tanta gente che lavorava nei boschi e che dormiva nelle nostre case riservate ai villeggianti della stagione estiva.. ricordo quei signori grandi e grossi avere paura anche loro.. tutti nella cucina di casa nostra che è al pian terreno, quel pian terreno che dà un pochino più di sicurezza a tutti! Perché si può uscire in fretta, senza fare le scale, trovando subito la via di fuga. Mamma faceva il caffè.. il giorno dopo niente scuola ed in qualche modo quel terremoto ci era anche un po’ simpatico per questo.. almeno inizialmente, perché poi la terra continuò a tremare per troppo tempo anche in quel periodo. Era una mattina d’autunno, a scuola lo storico Professor Tuccini stava tenendo la sua lezione di educazione tecnica.. scappammo tutti di corsa e tutti fummo riportati a casa, dove restammo per un bel po’ di tempo. Tuttavia, grazie al cielo, l’inverno successivo e la primavera acquietarono tutto. E così, rimessa a posto qualche crepa, ci si dimenticò anche quella volta del terremoto che ci aveva minacciato, ma che aveva colpito duramente le terre limitrofe, non quelle rusciare. Poi arrivò il 6 Aprile del 2009 a distruggere una città non troppo lontana da casa nostra, a distruggere case, vite e storie. Tante di quelle vite erano giovani e, come molti della mia età, erano a L’Aquila, lontane da casa, a studiare, a costruirsi un futuro. La morte li ha raggiunti nella fase più bella e piena di conquiste della vita.. nella fase in cui si sogna di diventare grandi ed indipendenti, pur nella completa incertezza del futuro. Noi che eravamo, come loro fuori sede a studiare, a Roma, a Perugia o chissà dove altro, lontani dai cari e dalle terre d’origine, ci siamo sentiti vicini a quei ragazzi ed anche fortunati, perché scampati a quella immane tragedia. La televisione continuò a parlare del terremoto de L’Aquila per tanto tempo, ma i nostri cuori, le nostre teste e le nostre anime, fortunatamente, per spirito di sopravvivenza, dimenticano.. o meglio, curano e poi coprono le ferite. Ma la ferita si è riaperta, più dolorosamente che mai, il 24 Agosto di questo funesto anno bisestile. La terra ha tremato di notte, dietro alle nostre montagne è morta tanta gente in vacanza, che stava ridando vita a paesi che, come i nostri, soffrono di solitudine per tanti mesi all’anno. Tutti i nostri amici e parenti villeggianti si sono rivisti in quel dolore che ti colpisce all’improvviso, nel più bel periodo dell’anno, quando lasci da parte la routine sempre uguale della quotidianità della metropoli, e concedi al corpo e all’anima un po’ di sano ristoro. Nei nostri paesi ti senti al sicuro perché i bambini vanno in bicicletta liberamente per le vie, gli adolescenti rientrano a notte tarda senza controlli, gli anziani dormono con la chiave sulla porta. In appena due minuti tutto è diventato un incubo. Le prime luci dell’alba di quella notte hanno poi portato sollievo e tristezza, sollievo perché la luce è riuscita ad alleviare la paura, tristezza perché quella stessa luce ha dato modo di vedere quello che era successo ad Amatrice, Accumoli, Arquata. Casa danneggiata a Ruscio (foto Arch. Pro Ruscio, 2016) Anche stavolta pensavamo di stare assistendo ad un film già visto.. una scossa forte poi delle scosse più deboli.. e poi il silenzio per chissà quanti altri anni.. e invece dopo due mesi si è ripresentato più forte che mai.. come un uragano nella sua fase crescente. Ad essere colpite sono state le piccole cittadine che danno più vita alle nostre zone come Cascia, Norcia, Leonessa.. dove troviamo maggiori servizi senza fare troppi chilometri. La Valnerina è stata ferita profondamente, i luoghi della nostra adolescenza, delle scuole superiori e dei primi amori. A pochi chilometri abbiamo la distruzione, la sofferenza e la disperazione.. ed il pensiero più ricorrente è “l’importante è che siamo tutti vivi”! Ruscio e tutto il comprensorio di Monteleone se la stanno cavando con qualche danno superficiale e con un limitato numero di case inagibili, che comunque stanno costringendo fuori casa intere famiglie. Il terremoto è quanto di più imprevedibile possa esistere, e costringe ad un riadattamento estremo delle condotte umane ed anche alla ricerca di profonde capacità resilienti. Siamo certi che dopo questa difficilissima fase dove il terrore della distruzione, la disperazione per aver perso tutto, la rabbia, la malinconia e la nostalgia di casa fanno da padrone, arriverà la fase dell’ottimismo, del calore dell’amicizia, della potenza della cooperazione ed infine della felicità della rinascita. In un frangente, come quello attuale, quello del terremoto, dove la realtà supera la finzione e adulti e bambini piangono e si spaventano liberamente tutti assieme, vogliamo sperare che “è passato il terremoto”, come dicono i bambini, nel senso che è passato a fare una visita, (senza avvisare!!!) per poi andarsene per sempre, immaginandolo con gambe e piedi che gli permettano di allontanarsi. |
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