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Elogio delle donne di Ruscio E-mail
La Barrozza - Pasqua 2005 - anno XIV n. 1
Scritto da Velia Belli   

I nostri bravi redattori della Barrozza insieme ad altri zelanti volenterosi stanno raccogliendo documenti, fotocopie, notizie sull’attività e la vita dei carbonai di Ruscio nei primi anni del secolo scorso e la loro trasformazione da contadini a rivenditori di carbone.

Tutto il materiale raccolto ed ordinato verrà inserito in un quaderno, come è già stato fatto in precedenza con altre trattazioni interessanti e che noi tutti, compresi i giovani, abbiamo molto apprezzato. Questi quaderni rappresentano la memoria, cioe’ il passato che non può essere dimenticato, se vogliamo vivere bene il presente e progettare il futuro.

A queste ricerche, io vorrei aggiungere i miei ricordi e le mie riflessioni sul lavoro importante svolto dalle Donne di Ruscio che accompagnarono i loro uomini nella Capitale sostenendoli e aiutandoli nel loro pesante lavoro.
L’emigrazione da Ruscio a Roma non si può lontanamente paragonare a quella americana, ma fu anch’essa difficile e dolorosa per chi, lasciando la propria terra (a quei tempi matrigna), sapeva di dover affrontare una vita grama fatta di quotidiani sacrifici il cui unico obiettivo (dopo un sofferto apprendistato come garzone) era quello di aprire una propria attività. Molti ci riuscirono, migliorando nel tempo il proprio tenore di vita, raggiungendo anche benessere e agiatezza, grazie sempre al sacrificio costante delle loro mogli e madri; quasi tutti riuscirono ad avere una vita semplice, dignitosa, permettendo ai loro figli di studiare, cosa che a loro non era stato permesso. Quasi nessuno ritornò ai campi.

Pur non essendo figlia di carbonaio (lo erano quasi tutti i nostri parenti) la mia famiglia è sempre vissuta a contatto con loro, dividendo gioie e dolori con tutti. Questo ci hanno insegnato i nostri genitori: la solidarietà, il rispetto e l’aiuto reciproco, che sono e saranno sempre alla base del buon vivere civile. Ho sempre pensato alle sofferenze delle donne di Ruscio che, abituate all’aria aperta, trovarono, giovani spose, a cambiare radicalmente la propria vita, cercando d’inserirsi nell’ambiente non sempre accogliente di una grande città come Roma. Si adattarono ad abitare in angusti appartementi, a contatto con altri inquilini, trascorrevano le loro giornate nelle cantine e nei locali (spesso senza finestre) collaborando a pieno ritmo con i loro uomini e assorbendo purtroppo anch’esse la micidiale polvere di carbone, causa scatenante di enfisema polmonare.

Indossarono per tutta una vita il grembiule nero, che mortificava la propria femminilità e la bellezza delle loro gioventù; non si lamentarono mai, fiere di poter aiutare, anche con la sola presenza i propri mariti. L’unico cruccio di queste donne era quello di non poter seguire nella gioventù i loro figli, ma a colmare questa lacuna c’erano le nonne e le zie, che alla chiusura delle scuole, partivano alla volta di Ruscio con tutti i nipoti, trattenendoli fino al termine delle vacanze.

I carbonai non conoscevano ferie anche perchè a quei tempi il carbone era prodotto di primaria necessità, quasi come il pane e l’attività doveva rimanere aperta. Il loro unico svago era quello di riunirsi, con altri paesani, qualche domenica, per fare un resoconto del lavoro svolto, concedendosi ogni tanto una partita a carte nella più vicina osteria.
A questi incontri era presente anche mio padre, che dicono fosse molto bravo a briscola e quindi ricercato come compagno.
Per le donne, la domenica era forse la giornata più faticosa con le faccende arretrate da sbrigare e le montagne dei panni da lavare nelle gelide fontane, situate quasi sempre nei sottoscala dei palazzi.

Ma al termine della mattinata tutte indossavano il loro abito migliore e non mancavano quasi mai alla messa domenicale, secondo le buone abitudini trasmesse loro dai genitori.

Ricordo i pomeriggi domenicali trascorsi a casa delle zie carbonaie, le quali insieme a mia madre parlavano fino a sera concedendosi talvolta il lusso di una tazzina di caffè. Gli argomenti delle loro conversazioni? Tanti e vari, ma esse andavano sempre a ricordare gli episodi legati alla loro fanciullezza; parlavano della loro famiglia patriarcale riunita, nelle serate invernali, intorno al grande camino, unico arredo importante delle loro case. Ricordavano i primi balli nell’Aia (accompagnate dai cugini) al suono di un organetto, che ripeteva sempre lo stesso motivo. A me piaceva ascoltarle e notavo sui loro volti, precocemente invecchiati, quella semplice serenità e dignità, che le accompagnavano sempre.

Ricordo, come un flash, una data che riuniva tutti i carbonai di Ruscio (dislocati nei vari quartieri) con le loro famiglie: 29 giugno festa di San Pietro e Paolo. Ogni anno l’incontro avveniva nella grande piazza della Basilica di San Pietro, anche noi bambini aspettavamo con impazienza quel giorno, come se dovessimo partecipare ad una gita fuori porta.
Bastava poco per essere felici!!!

 
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