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“Lu panaru” |
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La Barrozza - Pasqua 1996 - anno V n. 1 | |
Scritto da Osvaldo Perelli | |
Persone e tradizioni di Ruscio “Lu panaru” Abbiamo visto, nella precedente edizione della Barrozza, come alcuni prodotti suini, salsicce, salami, coppa, fegatelli... "sparivano" dalle cantine dei parenti di Ruscio e venivano inviati con la prima occasione a Roma, da dove, a sua volta, partiva il cestino pieno di aranci (i purtugalli, mandarini, tonno, fichi secchi ed altre cibarie natalizie, cestino che per mezzo della Sanza arrivava a Ruscio dopo un travagliato viaggio fatto di trasbordi e coincidenze). Se nella capitale questi prodotti dei contadini avevano un sapore genuino che ricordava tempi e luoghi della propria terra d'origine, quelli venuti da Roma, avevano il gusto della novità, di roba che "se trovava solo a Roma". Il mandarino, quei pochi che venivano dati all'ora della cena, lo si metteva in tasca per mangiarlo prima della messa di mezzanotte, dopo averlo accarezzato e annusato varie volte come una cosa preziosa, mentre i parenti a Roma alla stessa ora, gustavano il maiale e gli altri prodotti della montagna arrivati nei pacchi. Ricordo che alcune rimanenze di aranci, di noci e di funghi secchi, conservati nell'ampia tasca de "lu zinale" della nonna, venivano conservati anche fino a Pasqua, e dati quasi furtivamente ai nipoti. "Nun te fa vede'”! sussurrava la nonna. Oggi questo scambio di affetti e di doni ha perso l'antico significato sostituito dalle strenne natalizie che avvengono nell'ambito di ogni singola famiglia ed i mandarini sono diventati mandaranci, i fichi secchi sono diventati panettoni o pandori, i bianchi torroni, lingotti di gianduia; i quaderni, le matite e gli astucci hanno lasciato il posto a giocattoli moderni, compiuterizzati e gli stessi aranci sono coperti da mazzi di banane e ananas. È il progresso si dirà con una certa nostalgia, ma è giusto che sia così.
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